di Salvo Barbagallo
Da quanto tempo si parla di eliminare in maniera definitiva il Daesh (o Isis)? Da quanto tempo si considera pericolosa l’avanzata delle milizie jihadiste in Libia e si discute sulla necessità di un intervento radicale? Forse da troppo tempo, tanto che (forse) i “generali” del Califfato nero avranno avuto modo di progettare “contromisure”. Il New York Times nei giorni scorsi ha spiegato come il Pentagono sta già intensificando la raccolta di dati di intelligence che serviranno per avviare nelle prossime settimane “una campagna militare che dovrebbe comprendere bombardamenti aerei e raid delle forze di elite americane” (…) e che l’amministrazione Obama sta predisponendo i piani per aprire in Libia il terzo fronte della lotta all’Isis, insieme ad alleati europei tra cui l’Italia, il Regno Unito e la Francia (…). Agli intendimenti e alla volontà di agire il quotidiano statunitense fa seguire, però, le remore, mettendo in evidenza “i rischi’ di una campagna militare in Libia. Campagna che non può non destare preoccupazioni, visto che “un nuovo intervento militare in Libia rappresenterebbe una importante progressione di una guerra che potrebbe facilmente allargarsi ad altri Paesi della regione”.
Una situazione che ricorda quella di alcuni anni addietro quando gli USA davano per imminente un blitz contro l’Iran deciso ad andare avanti nei suoi processi nucleari. In quella circostanza non si ebbero interventi militari, e la posizione degli USA nei confronti dell’Iran è concretamente mutata. Il Corriere della Sera di martedì scorso (26 gennaio) faceva notare Le ultime valutazioni sostengono che lo Stato Islamico abbia circa 3500 mujaheddin sul territorio libico e altri sarebbero in arrivo in risposta a precise indicazioni. E Sirte è la loro roccaforte. Proprio in questa città misteriosi cecchini – secondo fonti non ufficiali – hanno ucciso numerosi membri dell’Isis in luoghi differenti. Sono colpi da attribuire a formazioni rivali o invece a cecchini delle unità d’elite alleate? Il giornale Analisi Difesa fa notare che Lo schieramento di 4 cacciabombardieri ricognitori AMX dalla base trevisana di Istrana a Trapani-Birgi, l’aeroporto siciliano che nella guerra del 2011 rappresentò la base più importante per le operazioni sulla Libia, apre qualche interrogativo circa le opzioni militari che Roma intende esercitare nell’attuale crisi libica. Il governo Renzi continua a considerare pericoloso l’avvio di azioni militari contro lo Stato Islamico almeno finché non si sarà insediato a Tripoli il nuovo esecutivo di unità nazionale guidato da Fayez al-Serraj, ma non può non prepararsi al peggio, incluso il rischio di fronteggiare sul piano militare una situazione che potrebbe degradare rapidamente.
E da settimane che è noto che gli Stati Uniti d’America insieme ai partner europei, stanno esaminando le opzioni di intervento per colpire l’Isis nella sua roccaforte di Sirte. E’ noto anche lo scopo, spiegato dal generale Joseph Dunford: quello di creare un bastione per contenere l’espansione del Califfato non solo nella zona, ma anche verso altri Paesi già devastati dal terrorismo, come la Tunisia e l’Egitto. Lo stato di allerta nel quale si trovano le principali basi aeree in Sicilia, quelle di Trapani Birgi e Sigonella, potrebbero far pensare ad un’azione militare da avviare in tempi brevi, ma tutto resta bloccato perché vengono tenute in grande attenzione le opinioni degli osservatori che non si stancano di sottolineare come gli occidentali saranno costretti a muoversi in uno scenario instabile, dove serve avere partner locali affidabili, mentre sono ben conosciute le rivalità e i contrasti. Rivalità e contrasti dimostrati anche per la recente mancata formazione del nuovo esecutivo di governo libico.
Dunque, tutto pronto, ma ogni cosa destinata a restare ferma fin quando le condizioni sul territorio libico non avranno una “qualche” svolta che possa offrire un minimo di garanzia a interventi militari sul campo. Lo stato di allerta, in ogni modo, continua…